Diane, sabato sera ero a Gubbio, e mi sono fermato a
mangiare al “Picchio verde”. Di solito non parlo di ciò che mi lascia
insoddisfatto e dunque, come puoi immaginare, anche qui è andato tutto bene. Più
che dalle guide, questo ristorante ci è stato consigliato dai gentili eugubini a cui abbiamo chiesto qualche suggerimento per la nostra cena.
L’ambiente è discreto: un grande camino, rigorosamente acceso per grigliare
la carne, domina la saletta d’ingresso. Più in là, nascosta alla vista dal
fronte strada, si trova una sala trecentesca con volta a botte e pareti in
sasso, i cui tavoli sono ben distanziati: insomma, Diane,
mentre mangi non sei costretto ad ascoltare il romanzo familiare dei tuoi
vicini, perché ti basta il tuo. Eravamo in quattro e, per incominciare come si
deve, abbiamo chiesto due antipasti di salumi e formaggi tipici che il cameriere, un tipo schietto e premuroso, chiamava “norcinerie”, forse rientrano ufficialmente (e a buon diritto) tra le ricchezze della vicina città di Norcia. Vengono servit con Torta al testo (una focaccia bianca molto soffice) e Brustengo (una pasta di
pizza fritta ma non pesante). Il vino della casa è un sangiovese che si lascia bere, anche troppo. E visto che dovevo guidare, l'ho alternato all'immancabile lattina di Cola. Siamo passati poi direttamente ai secondi: per non dover scegliere troppo e poter piluccare ognuno dal piatto dell’altro, abbiamo ordinato faraona al
forno, cinta senese in agrodolce (un filetto di maialino servito con cipollotti)
e tagliata ai porcini. Per finire, sono arrivati due tiramisù fatti in casa e
due tortini di cioccolato (dei budini dal cuore caldo e cremoso). Aggiungici quattro caffè e dividi 89,50 per quattro: Diane, ne è valsa la pena,
soprattutto se pensi alla sventura di chi si affida ai menù turistici da 15
euro, con pasta fredda e petto di pollo in padella.
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