Ciao Diane,
ieri sera ero da “Tato e vino”, a Bologna, con un bel po’ di gente. È da
parecchio che voglio parlarti di questo posto, infrattato in una traversina tra
i due ponti della via Emilia Ponente.
È difficile trovare parcheggio, Diane, te lo dirò subito. Ma
questo è davvero l’unico difetto che riesco a trovare al locale, ed è un
difetto solo per me, che sono pigro. Anche ieri sono stato trattato bene e molti
dei commensali che erano con me hanno gradito la cena. Pareti in legno, luci
soffuse, tavolacci d’altri tempi: tutto da “Tato e vino” richiama lo
stile delle vecchie osterie bolognesi, dove si andava – così dicono – per far
chiacchiera e bere del buon vino.
Abbiamo preso un tris di primi: gramigna con
salsiccia e carciofi; tagliatella all’ortica tirata al rum con ragù di
prosciutto e il piatto della casa, lo spaghetto alla chitarra con olive,
pomodorini e pecorino. Tutti e tre fantastici, bene annaffiati dal rosso e dal
bianco della casa: ho avuto fortuna, Diane, perché ieri c’erano esattamente i
primi che mi piacciono di più! Per secondo ci hanno servito uno stufato di
salsiccia e fagioli, e un arrosto di maiale. Per accompagnarli, crescentine, patate al
forno, asparagi di stagione al vapore e belga alla piastra. Sul dolce il gruppo
si è spaccato: alcuni hanno scelto la tenerina al mascarpone; altri, me
compreso, la cheese-cake ai frutti di bosco; altri ancora la crema catalana: un lupo solitario si è tuffato nel profiterol. Nei 24 euro di conto erano compresi anche una dozzina di birre medie, qualche
lattina, il caffè e l’ammazzacaffè: splendido il liquore di liquirizia; ho
lasciato invece agli altri, per confermare i miei costumi liberali, il
limoncello.
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