Secondo un sondaggio Censis riportato dal Corriere della sera più del 40% degli
elettori del M5S proviene dall’ormai ex centrosinistra (Pd, Italia dei Valori,
Sinistra Arcobaleno). Il dato è impressionante. E del resto spiega l’erosione
di voti che hanno subìto tutti i partiti che facevano parte di quella
coalizione alle politiche del 2008. Questa tornata elettorale segna infatti il
passaggio (storico) da un universo bipolare, che tendeva ad attrarre le realtà
politiche meno consistenti, ad un sistema “tribolare”, in cui il terzo polo è
veramente terzo e, stando alle premesse, non si lascerà assorbire da una parte
o dall’altra. Bersani ha enormi responsabilità sull’esito di questo voto: la
sua campagna è stata fin troppo accesa (lo so, quest’aggettivo sembra
incompatibile con il vocabolario del segretario emiliano) quando si è trattato
di liquidare Matteo Renzi nelle consultazioni interne al partito e troppo
blanda quando, dopo le primarie, il partito si è esposto al giudizio degli
elettori. Il progetto era chiaro: giocare in difesa e mantenere il vantaggio,
ma dimostra un gravissimo deficit di analisi: sarebbe stato percorribile in un
discorso a due, con il rivale storico Berlusconi, tra l’altro ai minimi storici
di consenso, seguendo la logica, per così dire, del contrasto. Ma di fronte
alla straripante officina di Grillo bisognava presentarsi ai cittadini con una
comunicazione e, soprattutto, con un pacchetto di idee nette e convincenti,
anziché oscillare passivamente tra il corteggiamento al centro e il lavoro di
rattoppo con i vendoliani, confidando nel senso di responsabilità degli
elettori volatili. Il peccato originale di Bersani, però, è un altro ed è ben
più grave: il sostegno ideologico, non solo politico, dato al governo Monti. Ed
è un peccato davvero “originale”, perché di fatto manifesta la congruenza delle
posizioni del partito con le politiche liberiste del professore. Una parte non
trascurabile della fiducia data a Grillo esprime un segnale di “protesta”; il
campione del sondaggio Censis, però, ha parlato, in maggioranza, di voto di
“speranza”. Da Berlino, poco prima della chiusura della campagna elettorale,
Bersani aveva detto che avrebbe combattuto il «populismo e il berlusconismo». Questo
non può essere lo slogan di un grande partito di sinistra. Non c’è nessuna
speranza in uno slogan come questo. Ma solo il tentativo di ripararsi con
l’ombrello da un ciclone. Se c’è bisogno di una nuova Bolognina il partito deve
essere chiaro e agire in fretta: altrimenti, lo spostamento a destra che
contraddistingue, di fatto, i programmi del Pd finirà per produrre una retorica
sempre più flaccida e ipocrita, o ipocrita e flaccida, facciano loro: per dirla
con Bersani, il più amaro dei populismi.
Mi sembra di ascoltare,nel tuo articolo, qualche "eco"della mazziniana Giovine Italia!Le elezioni sono un dibattimento tra Accusa e Difesa mella Piazza (tribunale) al cospetto di un
RispondiEliminaGiudice (il popolo). Dopo la sentenza gli avvocati(i laeders)vanno al bar a bere un caffè!!!!Caro figlio, il governo si farà:PD e PDL,senza Vendola(nel PD) e senza Lega (nel PDL)