So bene che la storia non si fa con i “se”. Ma la storia non
passa certo da questo blog, perciò preferisco abbandonarmi ai periodi ipotetici
dell’irrealtà, piuttosto che improvvisare inappropriate previsioni sul futuro
politico di questo paese. Dunque ci sono diversi buoni motivi per pensare che sotto
la guida di Matteo Renzi la debacle elettorale del Partito Democratico sarebbe
stata evitata o per lo meno contenuta. Il primo è che Matteo Renzi rappresenta(va) quella spinta verso il cambiamento
a cui si sono aggrappati, fuori dal partito e non al suo interno, molti delusi
del Pd. Una propensione al rinnovamento che i detrattori hanno brutalmente
ridotto a mera questione anagrafica ma che, col senno di poi, dovrebbe essere
riconsiderata per quello che era: una lungimirante volontà di addomesticare,
includendolo e ammorbidendolo come accade coi vaccini, il germe
dell’antipolitica. Il sindaco di Firenze, apostolo clandestino delle destre, è
stato inoltre uno dei pochi all’interno del suo partito a respingere fin da
subito l’abbraccio mortale con Mario Monti, mentre gli altri aspettavano inerti
di sapere da Casini come si sarebbe collocato rispetto alla
coalizione di sinistra. Paradossalmente, chi si è battuto, contro Renzi, per tenere
lontano il demone del liberismo dal partito democratico, ora dovrà fare i conti
con l’appoggio (per altro ininfluente) del centro e delle sue politiche tutt’altro
che progressiste e, forse, addirittura con la prospettiva dei “governissimi”.
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