mercoledì 27 febbraio 2013

Elogio del "se"


So bene che la storia non si fa con i “se”. Ma la storia non passa certo da questo blog, perciò preferisco abbandonarmi ai periodi ipotetici dell’irrealtà, piuttosto che improvvisare inappropriate previsioni sul futuro politico di questo paese. Dunque ci sono diversi buoni motivi per pensare che sotto la guida di Matteo Renzi la debacle elettorale del Partito Democratico sarebbe stata evitata o per lo meno contenuta. Il primo è che Matteo Renzi rappresenta(va) quella spinta verso il cambiamento a cui si sono aggrappati, fuori dal partito e non al suo interno, molti delusi del Pd. Una propensione al rinnovamento che i detrattori hanno brutalmente ridotto a mera questione anagrafica ma che, col senno di poi, dovrebbe essere riconsiderata per quello che era: una lungimirante volontà di addomesticare, includendolo e ammorbidendolo come accade coi vaccini, il germe dell’antipolitica. Il sindaco di Firenze, apostolo clandestino delle destre, è stato inoltre uno dei pochi all’interno del suo partito a respingere fin da subito l’abbraccio mortale con Mario Monti, mentre gli altri aspettavano inerti di sapere da Casini come si sarebbe collocato rispetto alla coalizione di sinistra. Paradossalmente, chi si è battuto, contro Renzi, per tenere lontano il demone del liberismo dal partito democratico, ora dovrà fare i conti con l’appoggio (per altro ininfluente) del centro e delle sue politiche tutt’altro che progressiste e, forse, addirittura con la prospettiva dei “governissimi”. 

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