domenica 27 gennaio 2013

Negozi imbarazzanti: la pasticceria

Ci sono certi negozi in cui faccio fatica ad entrare. Il primo che mi viene in mente è la pasticceria. Ora: io non capisco perché, se vai dal gelataio a comprare una vaschetta di gelato, ad ogni gusto o qualità corrisponde un nome preciso (“quest’oggi ho proprio voglia di croccantino!”, puoi dire, anche se non hai la minima idea di come sia fatto il croccantino); mentre un pasticciere non ti vende cose identificabili, ma esseri viventi indifferenti alla storia, nichilisti e plutocratici, e soprattutto senza nome. Mentre varchi la soglia della porta inizi a sudare: hai paura di dover pronunciare qualcosa in francese, con tutte quelle e chiuse alle 12 del mattino, appena sveglio (perché è domenica, s’intende). Quasi quasi rinunceresti, ma non puoi, perché non si va ospiti senza portare nemmeno un presente e il fioraio è già chiuso e in zona non c’è uno di quei gelatai poco sofisticati, oppure c’è, ma siamo a Dicembre e l’ultimo fior di latte prodotto è di Ottobre. Entrato, dopo pochi passi ti trovi di fronte una vetrina larga sei metri, alta due e profonda tre.
Tu ti aggiri impaurito alla ricerca di segnaletica standard, nella speranza di riconoscere quelle due o tre “specie” di pastarelle di cui conosci il nome latino (cassatina siciliensis, per esempio); ma un’attempata signora ha già iniziato a scrutarti con disprezzo e, senza che tu faccia in tempo ad accorgertene, ti ha già fregato: il tuo "sto scegliendo”, infatti, equivale a “compro, compro, non si preoccupi, mi dia almeno una ventina di secondi”. Nel frattempo, ovviamente, il negozio si è affollato di una dozzina di espertissimi uomini della domenica: sono tutti dietro di te, quasi ti palpeggiano, hanno fretta, con la macchina in doppia fila, le quattro frecce e i quattro figli accesi. Purtroppo per te, quel giorno non ci sono le tue cassatine o gli innocui cannoli. No, quel giorno, al banco della pasticceria, ci sono solo esemplari in via d’estinzione. Tu ignori tutto di loro: potresti essere allergico ai loro ingredienti. Sei talmente spaesato che non riesci più a distinguere dove finisce la crema e dove invece inizia lo stampino. Cerchi di prendere tempo: “signora, non vedo diplomatici”. Hai imparato questo termine all'ultima festa di laurea, diversi anni fa, e te lo sei segnato sull’agenda, ma la signora in nero risponde piccata: “no, la diplomatica non c’è”, sottintendendo 'pezzo d’un caprone squattrinato'.  A questo punto sei già in preda ad una crisi d'ansia: divorato dalla vergogna ti viene in mente di gridare “fermi tutti, questa è una rapina” e portarti via la cassa; almeno penseranno che stavi fingendo di comprare e che sei in realtà un delinquente senza scrupoli, uno forte insomma. Ma non puoi farlo, perché la dozzina di accademici che è alle tue spalle è talmente incazzata con te che ti placcherebbe all’istante e ti prenderebbe volentieri a pugni. Senza più ritegno, ormai, inizi a dire quello che in quel negozio è concesso solo ai bambini più facoltosi: punti l’indice e inauguri una serie di “mi dia uno di questi”, con gli occhi bassi e un filo di voce. Per te ogni pezzo è “uno di questi”; così facendo, però, involontariamente susciti l’ira funerea della tetra signora che, in cerca di una tua conferma con la testa, è costretta a puntellare con la pinza le sue infinite schiere di dolcetti,  rompendo per sempre l’ordine geometrico della sua vetrina. A un certo punto, presa dalla smania di liquidarti, inizia a incalzarti: “ci mettiamo anche due di questi?” e tu non puoi che annuire inerme. Prendi di tutto. Quando è a metà dell’opera, lo spettro in gonnella proferisce le ultime, arcane parole: “quanti ne facciamo”? Tu vorresti utilizzare un numero naturale maggiore di zero, come il “15” (siamo cinque, tre a testa), ma sai che non puoi dire così. E inizi a rimuginare: dovrò esprimermi in metri? In litri? In etti? In ampere? Le pensi tutte. Poi dici: “un pochettino di più di una dozzina, aggiungendo – sventurato! – “siamo cinque, più o meno tre a testa”. E lei, incrociando lo sguardo compiaciuto della folla imbestialita alle tue spalle, ti risponde: “ma in questo vassoio sono pochini”. Se anziché accatastarli in verticale su metà dell’ettaro di superficie disponibile li avesse lasciati pascolare allo stato brado tu ora saresti salvo. Ma non puoi in nessun modo permetterti di chiederle di passare a un vassoio più piccolo e così le dici, con l’ultimo orgoglio rimastoti in faccia (e in tasca) “e allora lo riempia di questi altri, faccia lei”, concedendole il tanto atteso trionfo: un kilo e due di pasticcini per un totale di 26 euro.

2 commenti:

  1. Ti immagino mentre ti muovi in quella pasticceria. Immagino gli accademici e la signorona. Immagino la tua tragicommedia domenicale. Fantastico. Lu

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  2. Professore... le insegno io ad andare in pasticceria! Bisogna essere sicuri! Mai mostrare incertezze e debolezze! Due vassoi sempre piccoli: Salto e dolce!
    Però vede quando scrive della sua paura di fronte alla vetrina vastissima è la paura della scelta! Molti si lamentano dicendo '' a non potevo scegliere'' non è mai vero c'è SEMPRE una scelta, sta solo a noi prenderla in modo coraggioso e deciso!
    P.S: Non si spaventi per due pasticcini e i cattolici della domenica c'è ben di peggio :)

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